Sono tempi difficili per il pinolo mediterraneo, frutto del Pinus Pinea. A farlo presente, senza tante esitazioni, è Daniele Ciavolino, titolare della storica azienda leader in questo settore Ciavolino di Torre del Greco (Napoli), che oggi produce, lavora e commercializza pinoli in tutto il mondo (da sei anni si sono aggiunti anche i pistacchi), grazie a una disponibilità che può contare su 100 tonnellate all’anno di proprietà e altrettante di diversa provenienza.
Il bilancio della campagna 2021/22
“Per la campagna 2021/2022 – ammette Ciavolino – c’erano aspettative migliori. La quantità e la qualità sono inferiori all’annata precedente. Le cause, con tutta probabilità, vanno ricercate nelle giornate di caldo intenso dell’estate 2021, che hanno fatto calare le rese e hanno peggiorato l’aspetto stesso del frutto, di calibro inferiore rispetto a un anno prima”.
Anche dal punto di vista commerciale, sta accadendo qualcosa di inatteso. “Pensavamo che i prezzi aumentassero – spiega Ciavolino – vista la scarsità di prodotto. Invece, si sono abbassati e anche notevolmente, confermando una tendenza che ormai è in corso da quando è iniziata la pandemia. In epoca pre-covid, infatti, all’ingrosso i nostri pinoli erano quotati sui 65 euro il chilo, mentre ora siamo sui 50-52 euro il chilo, a fronte peraltro di maggiori spese. Dobbiamo infatti considerare che, quando manca prodotto, occorre più tempo alla manodopera per reperirlo”.
La concorrenza estera
Poi, ovviamente, a incidere sul prezzo è anche la concorrenza. “In Italia – prosegue Ciavolino – le quotazioni del pinolo mediterraneo hanno risentito anche dell’ingresso sul mercato di quello asiatico, che ha prezzi decisamente inferiori e anche qualità organolettiche differenti. Ma il mercato è molto più interessato al primo anziché al secondo aspetto. Tanto che, attualmente, a livello mondiale, il pinolo asiatico ha una quota di mercato di circa il 96%, rispetto al 3% circa del pinolo mediterraneo”.
Le prospettive per il futuro
Anche le prospettive sul futuro del Pinus Pinea in chiave produttiva non sono completamente rosee, pur qualche eccezione. “Questa essenza fu introdotta e diffusa in tutta l’area mediterranea dagli antichi Romani – ricorda Ciavolino – che a loro volta la importarono dal Libano. La pianta, infatti, garantiva un ottimo legno per le imbarcazioni. Ma in Italia e in Spagna, dove si trovano molti esemplari di Pinus Pinea, non si fa manutenzione sulle foreste di pino, spesso relegate a parchi nazionali o aree protette, senza però una gestione e sostituzione delle piante più vecchie con esemplari nuovi. Diversa, da questo punto di vista, è la situazione in paesi come il Portogallo e la Turchia, dove invece si fa manutenzione in tal senso”.