01 ottobre 2015

Pistacchi, tanti margini per l’Italia

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Anche la coltura del pistacchio è finita sotto i riflettori durante il convegno organizzato venerdì scorso da Besana e Vitroplant a Macfrut 2015, per fare il punto della situazione sulle principali varietà di frutta secca. Durante la sua relazione Antonio Monteforte, responsabile agronomico di Biovegetal S.r.l., ha esposto i seguenti motivi per cui la coltura del pistacchio è conveniente dal punto di vista economico: si tratta di una specie non eccedentaria nella UE a 27 (Italia compresa); l’offerta globale è dominata attualmente dal duopolio costituito da Iran e Stati Uniti; la domanda globale è in crescita esponenziale. A tali vantaggi, si aggiungono quelli agronomici: il pistacchio è infatti una specie xerofita (ovvero si adatta bene ai climi aridi), è tra le specie più resistenti alla salinità, si adatta alla raccolta meccanica e richiede bassi input energetici per l’espletamento del ciclo produttivo. Secondo dati FAO aggiornati al 2012, la produzione mondiale si aggira oggi sul milione di tonnellate, contro le 20.700 tonnellate del 1961. In mezzo secolo, l’Italia ha investito poco o niente in questo comparto, mantenendo la superficie coltivata a pistacchio sui 3.000 ettari, mentre nel mondo sono 51.000 gli ettari dedicati a tale coltura. Oggi, i principali utilizzi del pistacchio sono nell’industria dolciaria, che assorbe un 44% della produzione mondiale, e nell’industria della carne (soprattutto per le mortadelle), che acquista il 42% della produzione.

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