A Bronte, nella zona italiana più vocata per la produzione di pistacchio, ha sede Ansatasi srl, azienda con alle spalle mezzo secolo di storia giunta oggi alla terza generazione. Il business è quello della trasformazione del pistacchio: dal prodotto “grezzo” con il guscio si ottengono prodotti sgusciati e pelati, farine, granella, prodotto semilavorato puro al 100 per cento. Si tratta di una storia imprenditoriale di successo e a dirlo sono i numeri: in cinquant'anni l'azienda è passata da un solo stabilimento ai quattro attuali (l'ultimo di recente apertura), da soli 4 operai ai 30 odierni. E oggi la produzione è di circa 6mila tonnellate di prodotto lavorato, prodotto destinato all'industria italiana ed estera: «Al netto dei Paesi in cui vi sono gravi problematiche politiche – ha raccontato Massimiliano Ansatasi, uno dei 4 fratelli oggi impegnati nella conduzione dell'azienda di famiglia – lavoriamo con tutto il mondo. I nostri interlocutori sono le industrie, soprattutto quelle dolciarie: per esempio forniamo pistacchi per i panettoni, per i dolci, per gli snack».
Senza investimenti non si cresce
Il fatturato è in continua crescita: «Negli ultimi 15 anni abbiamo riscontrato una crescita continua – ha proseguito -. Ma non si tratta di casualità, a monte ci sono importanti investimenti in termini di nuove tecnologie». Anastasi racconta così di macchinari innovativi capaci di valorizzare il prodotto e migliorare il processo: «Quando arriva il prodotto in azienda – ha spiegato – per prima cosa viene controllato e testato, in seguito entra nel ciclo di lavorazione. La prima fase è la sgusciatura». A seguire, grazie alla tecnologia di cui sopra, con una macchina a rulli e con una selezionatrice entrambe di ultima generazione si procede con la calibratura del prodotto e, anche, alla sua selezione. «Negli anni abbiamo fatto investimenti importanti – ha sottolineato Massimiliano –. Oggi in ciascuno stabilimento avviene una fase ben precisa della lavorazione, il che ci permette di accrescere la sicurezza alimentare e di ottenere diverse certificazioni. Solo così possiamo lavorare con tutto il mondo».
Aumentare il prodotto italiano per il bene della filiera
Quanto al prodotto in entrata, il pistacchio italiano è a oggi una rarità: rappresenta infatti solo l'1% della produzione mondiale. Per tale motivo, Anastasi deve rifornirsi anche all'estero (Usa, Iran, Turchia, ecc.): fatto cento il prodotto in ingresso, solo il 10-15 per cento è italiano. Ma qualcosa, in futuro, potrebbe cambiare: «Stiamo puntando moltissimo sul Made in Italy – ha raccontato – e pertanto stiamo spingendo gli agricoltori di Sicilia, Calabria e Puglia, quindi delle zone italiane più vocate, a mettere a punto nuovi impianti. L'obiettivo è accrescere la produzione Made in Italy». Anche perché, se ben congegnati, i nuovi impianti possono dare risultati interessanti: la pianta del pistacchio va in produzione dopo i primi 5 anni dal momento dell'impianto, raggiunge il cento per cento della produttività tra l'ottavo e il nono anno e, soprattutto, produce all'infinito. «Non sono rari gli impianti secolari ancora in produzione – ha concluso Anastasi –. Il nostro compito è di stare al fianco dei produttori agricoli, ai quali forniamo consulenza e assistenza. La produzione del pistacchio italiano conviene a tutti: non si dimentichi che sul mercato spunta, soprattutto se Dop, un prezzo doppio rispetto a quello estero».