21 agosto 2013

Polesine contro Cina in difesa dell’aglio. Bruxelles per ora tace

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Con più di 430 ettari dedicati, il Polesine rappresenta una delle zone italiane più importanti per la coltivazione dell’aglio, pari al 15% complessivo. La Cina, invece, è il più grande produttore mondiale, con una quota di mercato intorno al 90%. Due prodotti completamente diversi, per qualità – il polesano è secco e si conserva per dieci mesi, quello cinese è acquoso e perde di qualità dopo due mesi – e soprattutto con prezzi decisamente differenti, a vantaggio ovviamente di quelli che arrivano dal continente orientale.

La battaglia per arginare il traffico illecito di aglio cinese nel nostro paese da parte dei coltivatori polesani va avanti da 15 anni e a inizio 2013 è stata fatta una denuncia all’Ufficio europeo di lotta antifrode (Olaf) dove è stato messo nero su bianco come avviene funziona l’importazione illegale: l’aglio cinese viene prima importato in Svezia e Norvegia, aggirando i dazi doganali, diventa poi magicamente europeo e arriva in Italia con prezzi decisamente inferiori a quelli nostrani.

«L’aglio cinese inserito nel mercato in questo modo è un doppio danno, sia dal punto di vista dei dazi e dell’iva, sia dal punto di vista della salute. Non si sa come venga prodotto, non c’è nessun controllo» ha dichiarato Massimo Tovo, presidente del consorzio locale alla Voce di Rovigo. Per ora a Bruxelles tutto è fermo. Come correre, quindi, ai ripari nell’attesa che qualcosa venga deciso a livello europeo? Secondo Caludio Savan, presidente della Cooperativa Il Polesine, bisogna concentrarsi sulla denominazione di origine, quindi sulla DOP e sulla sua diffusione in termini di conoscenza, tanto che in autunno partirà una campagna di sensibilizzazione attraverso grandi pannelli pubblicitari.

Fonte foto: www.polesineterratraduefiumi.it

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