16 marzo 2020

Polonia: stop all’ortofrutta italiana. Anzi no

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Causa coronavirus, sono giorni difficili anche per le esportazioni alimentari. Venerdì scorso, il 13, la notizia che la Polonia avrebbe interrotto tutti gli ordini di frutta e verdura provenienti dall'Italia aveva suscito (anche) la reazione di Giuseppe L’Abbate, sottosegretario alle Politiche agricole, il quale, dopo aver etichettato il provvedimento come “discriminatorio e sleale” aveva immediatamente informato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per fare in modo che si arrivas a una risoluzione della vicenda.

Giuseppe L’Abbate,  sottosegretario alle politiche agricole

Giuseppe L’Abbate,  sottosegretario alle Politiche agricole

Stando a quanto riportato dallo stesso sottosegretario nelle ultime ore, la vicenda sembra aver trovato esito positivo: “Nessun annullamento ordini dai supermercati in Polonia – ha dichiarato sabato 14 –. Purtroppo, però, la chiusura di ristoranti e bar anche negli altri paesi comporterà sicuramente un annullamento di ordini e un calo delle esportazioni agroalimentari. Rinnovo l’invito ai consumatori italiani a premiare l’immane sforzo che la filiera agroalimentare nazionale sta portando avanti, assicurando a tutti noi il cibo sugli scaffali: consumate prodotti freschi e di produzione locale. È un momento in cui siamo chiamati tutti a essere solidali”.

 

Cronaca di un venerdì nero e le reazioni del mondo politico

Ma riprendiamo dall'inizio. Venerdì scorso molti esportatori ortofrutticoli italiani avevano ricevuto la raggelante comunicazione: Carrefour Polonia, a far data dal 18 marzo, avrebbe interrotto gli ordini di frutta e verdura italiana. L'insegna francese aveva argomentato così la decisione: “A seguito dello scoppio del coronavirus e in conformità con la decisione del nostro direttore commerciale”. Una analoga decisione era stata presa anche dalla catena di distribuzione polacca Zabka: sospensione della consegna dei prodotti provenienti dall’Italia come misura interna in risposta all’emergenza coronavirus.

“Non appena ricevute queste segnalazioni dagli esportatori italiani, ho informato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che si è subito adoperato in collaborazione con l’ambasciata d’Italia a Varsavia – aveva dichiarato L’Abbate. Questa emergenza è divenuta una pandemia e non può essere circoscritta ai confini italiani. I comportamenti discriminatori messi in atto così come la richiesta di una certificazione ‘virus free’ rappresentano pratiche commerciali sleali, vietate dalle normative comunitarie e nazionali”.

Il sottosegretario, richiamando il parere dell'Efsa (European food safety authority, ossia l'autorità europea per la sicurezza alimentare), aveva ribadito l'inesistenza di prove circa la possibilità di contagio a mezzo dei prodotti agroalimentari. E pertanto, a suo parere, “ogni discriminazione verso prodotti enogastronomici italiani è priva di fondamento scientifico e pertanto inaccettabile“. “Mi auguro che nessuno dei nostri partner europei voglia mettere in campo strategie da guerra commerciale ma, in tal caso, come già accaduto in questi giorni, reagiremo con fermezza e decisione difendendo gli interessi delle imprese nazionali in tutte le sedi opportune”, aveva puntualizzato. Detto, fatto. 

Efsa: il coronavirus non si trasmette con il cibo

Marta Hugas, direttore scientifico dell'Efsa

Marta Hugas, direttore scientifico dell'Efsa

Marta Hugas, direttore scientifico dell'Efsa ha chiarito: “Le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai coronavirus, come il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (Sars-CoV) e il coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (Mers-CoV), evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi”.

Dal canto suo l'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, in tema di sicurezza alimentare ha emanato una serie di precauzionali tra cui alcune buone pratiche igieniche durante la manipolazione e la preparazione dei cibi: lavarsi le mani, cucinare a fondo la carne ed evitare potenziali contaminazioni crociate tra cibi cotti e no.

Slovenia: sì al passaggio dei tir, previo controllo degli autisti

L'Abbate ha affrontato anche la questione del trasporto merci internazionale poiché, dopo il braccio di ferro diplomatico con il confine austriaco, l’attenzione nei giorni scorsa si era spostata sul versante sloveno, dove le autorità avevano lasciato aperti solo i sei valichi principali per concentrare i controlli sugli autisti dei tir. “Il ministro Di Maio è al lavoro con gli omologhi sloveni, croati e serbi – aveva chiarito il sottosegretario -. Purtroppo, la Slovenia ha dichiarato lo stato di epidemia attivando il piano nazionale di risposta alle emergenze e, per evitare le colonne di tir in uscita per una reazione a catena, ha iniziato a consentire il transito solo ai camion diretti nel paese e impedendo invece il transito a quelli che procedono verso altri stati come la Croazia. Si spera nelle prossime ore di addivenire a una soluzione”.

Ma anche in questo senso sono arrivate alcune confortanti rassicurazioni: al confine sloveno dovrebbero (il condizionale è d'obbligo) varcare la frontiera tranquillamente anche i tir che attraversano il paese per recarsi in altri stati, a fronte del solo controllo della misurazione della febbre degli autotrasportatori.

Sulla questione del blocco delle frontiere, nei giorni scorsi era intervenuta anche Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, la quale aveva auspicato un'intervento urgente della Commissione europea per ripristinare il rispetto delle regole del mercato unico

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