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21 settembre 2024

Post alluvione: agricoltura in mano ai fondi d'investimento?

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"Tu non mi ha dato i soldi" e "tu non sei stato capace di spenderli". Questa in estrema sintesi la polemica politica tra destra e sinistra, più che tra Governo e Regione, funzionale alla conquista del potere alle imminenti elezioni regionali in Emilia-Romagna. Contemporaneamente c'è chi spala fango e chi cerca una sistemazione (oltre un migliaio di sfollati). 

Giorgia Meloni promette 20 milioni, l'assessore regionale Alessio Mammi annuncia: "Già iniziata la ricognizione dei danni", mentre la presidentessa Irene Priolo ha inviato la richiesta di riconoscimento dello stato di emergenza nazionale. 

E gli operatori ortofrutticoli? Tremano al pensiero della fine di un modello che dal dopoguerra ha assicurato tanto benessere economico e sociale, ma pure rilevanti danni ambientali, al territorio romagnolo.

L'appello: "Non vogliamo finire in mano ai fondi di investimento stranieri"

Tutte le associazioni imprenditoriali hanno stilato comunicati stampa, i presidenti e i direttori si sono fatti intervistare e giustamente hanno mostrato sdegno, chiesto sostegno e impegni per un futuro meno incerto sul fronte idrogeologico. Tutto vero. 

Una nota che fa riflettere è quella diffusa da Cia Romagna che, ancora con gli stivaloni, s'interroga sul destino del sistema romagnolo. Le aziende romagnole si legge: "Potrebbero essere sostituite da privati o fondi di investimento esteri con finalità speculative". Uno scenario definito dalla stessa organizzazione come "inquietante". 

Una visione apocalittica?

Si tratta della reazione dura a un momento di particolare avversità oppure ci sono elementi che si basano su dati di fatto? Hanno sicuramente ragione nel mettere insieme gli eventi. 

"Tre gelate tardive consecutive e tre alluvioni consecutive rischiano veramente di far chiudere molte aziende. In questo momento la priorità è gestire la situazione e poi passare alla conta dei danni e avviare eventuali iter per indennizzi. C’è bisogno, però, che si risponda a una domanda: l’agricoltura romagnola deve avere un futuro si o no?”. Riflessione del presidente di Cia Romagna, Danilo Misirocchi

Non si deve leggere alla lettera. Per l'agricoltura romagnola il futuro è garantito, ma potrebbero modificarsi le fondamenta su cui è stata costruita e frutto di uno sviluppo che i sociologi esperti del tema definiscono endogeno.  

Nato dal basso, strategia bottom-up, e con una forte dose di mutualismo derivata dall'investimento nello strumento delle cooperative. Non è stata un'agricoltura legata allo Stato, anzi il contrario rispetto ad altre regioni ad alta dipendenza dagli aiuti nazionali, ma basata sul lavoro, l'impegno e la creatività del mondo agricolo romagnolo. 

Una privatizzazione di un bene pubblico?

Se consideriamo il sistema agricolo romagnolo un bene pubblico, una acquisizione esterna si può anche definire privatizzazione. La causa? Le aziende sono stremate e non hanno ricevuto neanche i ristori degli eventi climatici precedenti, abbiamo scritto della beffa Agricat e quella Inps, ovvero senza liquidità possono anche essere costrette a vendere. 

"Si tratta di un’agricoltura specializzata, che caratterizza una buona fetta dell’agroalimentare regionale che tiene alta la distintività del made in Italy;  è un’agricoltura che esporta, quindi produce benessere, oltre ad avere un valore sociale e ambientale importante nelle aree interne, dove fa manutenzione del territorio, la risposta può solo essere: sì, l’agricoltura deve rimanere".

Ma come?  “Ci sono sicuramente tanti passaggi da fare e alcune cose da riprogettare – sottolinea Misirocchi - ma la più urgente, per la quale serve una risposta istantanea, come abbiamo chiesto assieme ad altre sigle della rappresentanza l’otto luglio scorso nel presidio di Faenza, è che arrivino immediatamente i ristori promessi a seguito della calamità dello scorso anno. Diversamente, già dalla fine del 2024, alcune aziende chiuderanno”. 

Servono soldi per non chiudere. Quelli che non sono arrivati in questi mesi. 

I numeri: 80% di aziende danneggiate sono le stesse del 2023 

A Coldiretti, come le altre associazioni, hanno iniziato la conta dei danni nella "Fruit Valley italiana". 

E questo è un dato: "L’80% delle aziende nel Ravennate danneggiate sono le stesse devastate dall’alluvione del 2023. L’acqua ha inondato i terreni coltivati a ortaggi e gli alberi di mele, pere, kiwi, susine con impianti danneggiati nella zona del Faentino, nel Bagnacavallese e a Cotignola dove l’acqua è arrivata alla frutta, avendola ricoperta di fanghiglia, il raccolto si può considerare perso. Ma il ristagno idrico, se dovesse prolungarsi, metterebbe a rischio tutti i frutteti, come accaduto nel 2023". 

Le piante collassano

La situazione è grave con "le piante cariche di frutta stanno collassando, piegandosi, e al momento è complesso stabilire se questi impianti saranno o meno recuperabili. Danni si contano anche ai vigneti, con il pericolo di non poter riprendere a breve le attività di vendemmia. Drammatica anche la situazione nelle colline dove i nuovi movimenti franosi hanno colpito molte delle aziende agricole già danneggiate dall’alluvione dello scorso anno". 

Un territorio da mettere in sicurezza

C'è un dato di necessario sostegno economico alle aziende da concretizzare, ma anche un territorio da mettere in sicurezza. Il consiglio degli ordini dei dottori agronomi e dottori forestali lo sottolinea: "Il dato più sconcertante è che le esondazioni e i danni maggiori si sono verificati, principalmente, negli stessi posti della alluvione 2023. In un anno - commenta  Alfredo Posteraro, presidente della federazione regionale dell'ordine - non siamo riusciti a fare neanche la messa in sicurezza dei siti che hanno generato tutte le problematiche della scorsa alluvione".


"In campo agronomico, dobbiamo ripensare alla regimazione delle acque (scoline drenaggi), pratica che risulta desueta. Invece, se guardiamo alle vecchie pratiche colturali, ci rendiamo conto che i nostri predecessori avevano grande attenzione ad ausili per la gestione delle acque meteoriche – continua  Alfredo Posteraro – Quanto fatto fin ora non è più sufficiente ad arginare fenomeni così violenti come i 340 mm di pioggia caduti".


Attenzione alla profondità delle conseguenze: "Tra i danni che non vediamo c’è che con fenomeni alluvionali così significativi, l’intero comparto agricolo va in grande sofferenza e le tempistiche di recupero sono elevate, con tutti i disagi economici e sociali immaginabili".

Attenzione non è più maltempo: è un cambiamento climatico, senza dimenticare la pulizia dei fiumi, con proporzioni mai viste


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