È giusto fissare un prezzo minimo garantito alla produzione? È un modo per tutelare il lavoro di molti agricoltori e garantire loro, soprattutto in un periodo di crisi come quello che il comparto sta vivendo, un’entrata fissa? È notizia di qualche giorno fa la proposta lanciata dal Distretto Agroalimentare di Sibari (fonte: Calabria Ora), circa la fissazione di un prezzo alla produzione per le clementine, vale a dire di 45 centesimi al chilo. Secondo Antonio Schiavelli, presidente del Distretto, è il primo tentativo serio di proporre alla grande distribuzione un prezzo alla produzione per far sì che gli agricoltori di questo areale possano affrontare con serenità la crisi in atto.
Dalle pagine di Fruchthandel Magazin (Nr. 43 del 26-10-2012), rivista tedesca tra le più importanti del mondo ortofrutticolo, Konstanze Richter riprende questa proposta sollevando, però, alcuni dubbi sulla sua reale utilità, citando un caso analogo relativo alle banane in Ecuador, dove il governo locale già da anni ha fissato un prezzo fisso alla produzione: “L’esempio delle Banane dell’Ecuador dimostra quanto è difficile imporre un prezzo fisso su un territorio intero.
Si legge continuamente di offerte a prezzi inferiori di quelli minimi stabiliti dal governo. Inoltre, non è stato possibile provare che questo sistema abbia portato ai produttori di banane i vantaggi sperati”. La redattrice sottolinea come il rischio che i compratori si rivolgano ad altre aree più competitive, in presenza di un prezzo fisso, sia reale, considerando la competitività del mercato delle clementine. Pur non volendo minimizzare un problema esistente, secondo Konstanze Richter la soluzione passa da altre vie: “Alla fine quello che conta sono la qualità del prodotto ed il servizio offerto. Anche nei periodi di crisi chi offre merce particolarmente buona e servizi straordinari trova sempre un compratore, spesso anche a prezzi attrattivi”.
