In Veneto si sta abbandonando la coltura dei radicchi: dal 2019 al 2022 la superficie coltivata a livello regionale è calata del 34% mentre il dato nazionale sale al 38%. Nella regione le superfici dedicate rappresentano oltre il 50% di quelle presenti in Italia nel 2022. Un giacimento di valore a livello internazionale, ma ancora da valorizzare vista la fuga dalla coltura.
I dati sono quelli della Regione Veneto
I dati sulla riduzione delle superfici dei radicchi si leggono in una delibera regionale che per risolvere o attenuare il problema ha finanziato con 50mila euro un osservatorio per analizzare la situazione e individuare delle possibili azioni per poter trovare delle soluzioni.
Oltre i dati nazionale e regionale è interessante, per capire il fenomeno, leggere i dati a livello provinciale: “Seppure con una flessione, le zone più tradizionali, con un calo di solo il 5% a Verona (952 ettari nel 2022), del 14% a Treviso (941 ha nel 2022) e del 24% a Venezia (1.290 ha nel 2022), mentre più incisivo è il calo nella provincia di Padova (-42%, con 1.011 ha nel 2022), in quella di Rovigo (-72% con 219 ha nel 2022) e nel Vicentino (-73% con 182 ha nel 2022)”. La fonte è l’Istat.
Serve una strategia, ma prima conoscere il fenomeno
Alla Regione sono preoccupati. “Il settore, ampiamente caratterizzato da produzioni ad Indicazione geografica protetta (Igp), quali il Radicchio di Chioggia, il Radicchio di Verona, il Radicchio Rosso di Treviso e il Radicchio Variegato di Castelfranco – si legge nella delibera – necessita la messa in atto di una strategia per gestire questa dinamica, piuttosto che subirla”.
Che fare? Questa una prima ricetta: “Va risolta una carenza rilevante del comparto che riguarda la comprensione ed il monitoraggio del sistema produttivo, oltre che dell’organizzazione della filiera e dei sistemi di commercializzazione locale, nazionale e internazionale, al fine di poter definire le migliori strategie di gestione delle produzioni sul mercato a fronte degli strumenti messi a disposizione, interagendo con i consorzi di tutela dei prodotti a marchio e le organizzazioni di produttori (Op), attori individuati dall’Unione europea per la gestione qualitativa e quantitativa delle produzioni”.
L’assessore Federico Caner quindi registra la necessità di comprendere e monitorare il sistema produttivo, la filiera e i mercati locali e internazionali. Via con l’osservatorio che si intende affidare all’Agenzia Veneta per l’innovazione nel settore primario: Veneto Agricoltura.
La voce dei produttori: “Serve il catasto”
Commenta i dati e l’iniziativa con myfruit.it Giuseppe Boscolo Palo alla guida di Chioggia Ortomercato ma anche imprenditore agricolo. I motivi di questo calo? “Si tratta di una evidente negatività derivante da una crisi iniziata nel 2019, accentuata dal Covid, dalla guerra, dall’inflazione e di tutto quello che è successo negli ultimi tre anni”.
Cosa serve? “Un’analisi approfondita che si può fare con l’istituzione di un catasto o un’anagrafe per valutare le superfici e la produzione”. Un altro problema sottolineato dal presidente del mercato: “ La mancanza di certificazione dei costi di produzione è un problema, ci sono aziende come la mia che dipendono dalle aste giornaliere, oggi il prezzo si è fermato a 0,40 euro. Durante la pandemia nel 2020 abbiamo fatto un’analisi dei costi di produzione e si era determinato ilo prezzo in 0,45 euro al chilo, ma i costi sono aumentati per tutte le ragioni che ho esposto prima e si è portato il prezzo a 0,63 euro. Incidono pure i cambiamenti climatici perché si hanno significative variazioni nella resa per ettaro”.
Un modello di definizione dei costi
Ma non c’è solo una causa alla base del fenomeno: “Lo rilevano le differenze percentuali tra le province e di conseguenza differenti investimenti nelle superfici. Noi abbiamo rilevato, per esempio, un aumento di oltre il 6% dei conferimenti di questi ultimi mesi”. La complessità aumenta, secondo Boscolo questo dato giustifica un “modello di definizione dei costi più preciso“.
Cosa fare con queste informazioni? “Sono la base per avere un sistema trasparente e in questo modo sarà possibile puntare su controlli mirati per evitare comportamenti scorretti e tutelare tutte le aziende”. Bisogna poi fare i conti con un sistema organizzato delle imprese che secondo Boscolo mostra qualche scricchiolio.
“Incidono anche elementi comuni ad altre regioni e filiere italiane come il lento ricambio generazionale o la crisi dei consumi. Oggi il prezzo di 0,40 euro per il nostro radicchio è legato e determinato soprattutto da un calo della domanda. E poi, sottolineo, non siamo riusciti a convincere tanti produttori a puntare sul marchio, sull’adozione del disciplinare per differenziarci dalle altre produzioni italiane”. La volontà non manca, ma si vuole partire con l’osservatorio per decidere con più elementi in mano e non procedere al buio.