Da Sud a Nord, l’Italia ha tante specialità ortofrutticole che si alternano, tempo permettendo, all’interno di differenti finestre commerciali. Una di queste è certamente quella del melone (Cucumis melo), coltivato nelle sue svariate tipologie praticamente lungo tutto lo stivale, con la presenza di areali dove la produzione assume una notevole rilevanza economica.
«Nel tentativo di tratteggiare un breve affresco di questa coltura in Italia, certamente non si può non partire dalla Sicilia» ci dice Mario Noviello, sales manager di Enza Zaden. «In questa regione, infatti, si inaugura la stagione del retato italiano, la tipologia del gruppo cantalupensis più diffusa nella penisola, con frutti di forma tondo/ovale, pasta arancione, fortemente retati, con marcatura della fetta (sutura) ed epicarpo che vira al giallo paglierino/crema o rimane verde nelle cultivar a lunga conservazione. Si tratta di coltivazioni molto precoci sotto tunnel localizzate nella sona sud-ovest della regione e, in particolare nell’Agrigentino, le cui produzioni cominciano ad essere disponibili in commercio dalla seconda metà di aprile».
La Campania con i suoi oltre 9.000 ettari di orticole in coltura protetta, rappresenta un altro bacino importante per la produzione di meloni in Italia. «Nell’areale di Battipaglia, in provincia di Salerno, se la coltivazione delle insalate sotto serra per le aziende che producono IV gamma è quella più importante durante l’autunno/inverno, in primavera ci si dedica anche al melone retato. È un prodotto che ha a disposizione un’interessante finestra commerciale che si apre quando il grosso del prodotto siciliano è terminato e quello del resto d’Italia non è ancora in commercio: quindi per buona parte di maggio fino alla metà di giugno i produttori possono godere di prezzi remunerativi».
Il resto del centro-sud Italia non è altrettanto ben provvisto di strutture serricole e dunque la produzione avviene principalmente in pieno campo, ricorrendo a tunnel removibili per le coltivazioni più precoci e successivamente a coperture in tessuto non tessuto e in piena aria. Tra gli areali più importanti vanno ricordati quelli della maremma laziale, della Toscana e dell’Umbria.
In tutto il Sud Italia il retato italiano condivide la coltivazione con un’altra tipologia, il cosiddetto “gialletto” (o Amarillo, in spagnolo, o Yellow Canary, in inglese). «Fino agli anni ’80 del secolo scorso, erano coltivati numerosissimi ecotipi locali ad epicarpo giallo del gruppo inodorus: il rugoso di Cosenza, il brindisino, il cartucciaro, che, coltivati per lo più in regime asciutto, erano particolarmente idonei all’ottenimento di frutti da serbo, da cui il nome “melone d’inverno”. Le nuove cultivar rese disponibili dal miglioramento genetico e l’evoluzione delle tecniche colturali hanno permesso maggiori rese e questa tipologia ha raggiunto un sempre crescente numero di consumatori.
Oggi il melone gialletto è un frutto di pezzatura elevata (intorno ai 3 Kg, anche se la tendenza è verso pezzature minori) con epicarpo rugoso di colore giallo intenso e pasta bianca e ha il suo picco di commercializzazione a luglio e agosto». Certamente molto conosciuto ed apprezzato in tutti i mercati del mezzogiorno, in realtà è sempre più consumato anche nel Centro Nord Italia, grazie anche alla presenza in GDO di prodotto controstagionale importato dal Sud America, che però ha caratteristiche organolettiche differenti, nonché buccia liscia di colore giallo chiara.
Arrivando al Nord Italia, la tipologia principalmente coltivata è ancora quella del retato italiano. «Il melone nel Nord Italia è coltivato in misura limitata in serra e in misura più preponderante in pieno campo, in coltura semiforzata (tunnel removibili) all’inizio e sotto in tessuto non tessuto a stagione avanzata, più per regolare l’allegagione e per proteggere la pianta dagli gli attacchi di afidi che per motivi di protezione termica» continua Noviello.
Se nel veronese è presente una frazione importante della produzione del Nord Italia con caratteristiche di precocità – coltivazione in coltura protetta e arrivo in commercio subito dopo il prodotto campano – un’areale di produzione che merita più di una citazione è senz’altro quella della valle del Po’, in particolare a cavallo delle province di Ferrara, Modena e Mantova, dove tra l’altro è presente l’unica Igp che riguarda il melone in Italia.
In questo areale, un’altra tipologia meritoria di essere ricordata è quella del melone liscio, con polpa arancione ed epicarpo privo di rete di colore grigio-verde chiaro, caratterizzato da tipici profumi ed aromi. È tradizionalmente un prodotto di nicchia destinato a mercati d’élite, caratterizzato da una grande qualità organolettica e shelf-life molto limitata. Lo si consuma soprattutto nel Centro-Nord Italia, ma sta conquistando fette di mercato sempre maggiori. Infatti, da un lato, a causa della minor reddittività di quello retato, le superfici di liscio coltivate sono in forte aumento, anche in altre aree d’Italia, dall’altro anche le catene della GDO ambiscono ad avere questa specialità nel proprio assortimento. I rischi per la redditività di questa tipologia connessi all’aumento delle superfici sono due: quello di una produzione eccedente rispetto ai quantitativi effettivamente richiesti dal mercato e quello di uno scadimento qualitativo connesso alla “banalizzazione” del prodotto, anche per effetto di alcuni tentativi del miglioramento genetico di realizzare cultivar a lunga conservazione, con evidente danno delle caratteristiche organolettiche.