Si è tenuta a Macfrut, lo scorso venerdì 10 maggio, davanti a una nutrita platea di stakeholder del settore, la prima edizione del Table Grape Meeting, l'evento nato anche grazie alla collaborazione di myfruit e teso a fare il punto sul presente e sul futuro dell'uva da tavola italiana.
Partendo da un dato di tutto rispetto – sono 47 mila gli ettari di terreno impegnati nella coltivazione di uva da tavola, per un totale di un milione di tonnellate di produzione annua – Alessandro Franceschini, direttore di Myfruit nelle veci di moderatore del convegno, ha invitato i relatori a tracciare lo scenario odierno e le tendenze in atto.
Molti gli punti di riflessione emersi, a partire dal ruolo del nostro paese: l'Italia è il primo produttore europeo di uva da tavola, ma se non starà attento alla voce “aggregazione”, rischia di vedere lesa la sua leadership da nuovi paesi emergenti. Un secondo aspetto: davanti a un mercato sempre più esigente – l'uva da tavola sta diventando un prodotto commodity poiché richiesta 12 mesi all'anno – i produttori devono spingersi verso l'innovazione varietale. Ma, chiedono i produttori, soprattutto i più piccoli, l'accesso alle varietà brevettate è esclusivo o inclusivo? Infine: il mercato necessita di produzioni consistenti in termini qualitativi e quantitativi e le uve apirene sono in assoluto le più richieste. Quale futuro per quelle tradizionali con seme? Sono destinate a scomparire?
Gli interventi dei relatori
Giacomo Suglia, presidente di Apeo, associazione di produttori ed esportatori per la tutela dell’uva da tavola della regione Puglia – regione che rappresenta il 75% delle superfici coltivate in Italia – ha ricordato che l'Italia, oltre a essere il primo produttore europeo, è anche il Paese maggiormente restrittivo in termini di qualità delle produzioni, nonché quello con il maggior numero di marchi. Due i concetti chiave emersi dal suo intervento: investire sull'informazione e sperimentare produzioni competitive, sia in termini di qualità, sia in termini di resa.
Carlo Fideghelli ha raccontato l’esperienza della Rete IVC, Italian Variety Club, un bell'esempio di collaborazione che, come ha fatto notare il professore «riunisce l'intraprendenza dei privati, con la competenza delle strutture di ricerca pubbliche». Fondata a Locorotondo (BA) nel 2015, vede la partecipazione di 20 imprese agricole, dello spin-off Sinagri dell'Università degli Studi di Bari e del Centro di Ricerca “Basile Caramia” di Locorotondo. Fideghelli ha ricordato come siano più di 15mila i semenzali in valutazione agronomica: si cercano varietà totalmente apirene, senza residui di seme. «Altrimenti – ha spiegato – non funzionano commercialmente». Un altro importante obiettivo è la resistenza alle crittogame: Oidio in primis, ma anche Peronospera e Muffa Grigia. Quanto alle caratteristiche organolettiche, i consumatori scelgono maggiormente uve bianche – ma vanno anche le rosse e le nere – e il sapore moscato. «Ma – ha concluso – siamo alla ricerca di sapori nuovi, per esempio che abbiano il sentore di fragola».
Dall'intervento di Maurizio Ventura, Licensing Manager Europe per SunWorld International, sono emerse ulteriori conferme circa le necessità della filiera – che chiede alta produttività e, al contempo, bassi costi di produzione – e circa le caratteristiche gradite al consumatore. Tra queste ultime, di primaria importanza l'assenza di semi. Ne consegue la necessità di continue ricerche in tema di varietà apirene.
Carlo Lingua, AD di Rk Growers e di Avi, agente unico Europeo per le uve ARRA™, ha invece fatto una riflessione circa la competitività dei Paesi che si stanno affacciando sul mercato, vedi Marocco, Albania, Serbia, Bulgaria e Turchia. New entry che potrebbero complicare la vita dei produttori e dell'agricoltura italiani, per i quali, comunque, sono ancora numerose le opportunità da cogliere. La ricetta per restare competitivi contempla vari ingredienti: seguire pedissequamente i protocolli di produzione proposti dai breeder, coniugare la qualità delle produzioni con la quantità – altrimenti il rischio è di essere messi da parte dalla grande distribuzione – trovare nuove soluzioni in materia di packaging. Per esempio, non sottovalutare l'importanza di quelle confezioni biodegradabili, frutto del riutilizzo degli scarti dell'ortofrutta (il riferimento è al progetto ZeroPack).
Alberto Mastrangelo, responsabile commerciale del gruppo Grape and Grape, ha confermato il pericolo della concorrenza estera e ha ricordato quelli che oggi stanno diventando due punti critici della produzione italiana: la polverizzazione e la sovrabbondanza di offerta varietale. In pratica, l'assortimento non riesce a essere continuo e quindi è possibile rispondere ad una domanda in continua crescita: l'uva sta diventando un prodotto commodity, presente sugli scaffali 12 mesi all'anno. Elementi chiave del progetto di Grape and Grape sono quindi la distintività e la possibilità di avere un pacchetto varietale che valorizzi le specificità dell’area di coltivazione e sviluppi un legame tra varietà e territorio. A questo si sommi la diminuzione dei costi di produzione, a tutto vantaggio della produttività.
Infine, Gianni Raniolo, presidente del Consorzio Uva da Tavola Mazzarone IGP, nel raccontare una realtà piccola, quanto produttiva, come quella siciliana – nel 2018 la produzione ha superato i 3 milioni di chili – ha ricordato alla platea l'importanza delle strategie condivise tra produttori – la concorrenza è nel mercato globale, non in quello locale – e ha chiosato con una domanda particolarmente attuale e senza dubbio tranchant: «L'accesso alla coltivazione delle varietà brevettate è un diritto per tutti i produttori, anche i più piccoli, oppure un privilegio per pochi?».