30 gennaio 2014

Tutela varietale e proprietà intellettuale. Prevaricazione o valore aggiunto?

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Quello della proprietà intellettuale nel campo sementiero è un tema molto delicato e che provoca sempre aspre dispute tra sostenitori e detrattori. Spesso, chi è contro, punta il dito contro il rischio di prevaricazione da parte delle multinazionali di settore a danno degli agricoltori e, alla fine, anche dei consumatori finali. Un tema, per esempio, recentemente affrontato anche durante una puntata della trasmissione Report dal titolo “l’Insostenibile brevetto”. «La trasmissione Report ha riproposto luoghi comuni, privi di un razionale fondamento» sostiene Alberto Lipparini, responsabile del settore orticolo di Assosementi.

Eppure per molti la situazione nella quale si trovano gli agricoltori che usano sementi brevettate è quello di una sostanziale “schiavitù” e “non libertà”. « Innanzitutto va ribadito che gli agricoltori hanno ampie possibilità di scelta – afferma Lipparini – vale a dire se continuare a coltivare vecchie varietà, non più sufficientemente produttive o gradite dal mercato, oppure indirizzarsi verso le nuove proposte varietali, che garantiscono un maggiore reddito».

In questo secondo caso l’agricoltore deve remunerare in modo sufficiente colui che gli assicura i mezzi per essere competitivo. «Sì, ed è questo il ruolo della proprietà intellettuale, in ogni campo – sostiene Marco Nardi, segratario di Assosementi -. Si accetta un piccolo vincolo, in cambio di una scelta innovativa e chiaramente più remunerativa. Nessuno vuole o può impedire agli agricoltori di continuare ad utilizzare i vecchi materiali genetici, liberamente accessibili; ma invece, c’è da chiedersi perché si indirizzano verso nuove varietà che qualcuno ha migliorato e che per il proprio lavoro chiede di essere remunerato».

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