19 giugno 2023

Uva da tavola: manca manodopera

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L’agricoltura vive ormai da qualche anno il grave problema della mancanza di manodopera. Mancano in particolare i braccianti per le attività di raccolta. Tanto, troppo prodotto, per questo, marcisce nei campi. Serve trovare delle soluzioni e non è detto che si debba necessariamente far ricorso agli stranieri. È necessaria un’azione formativa mirata che punti al reclutamento dei giovani e alla loro formazione, rinsaldando così il rapporto con le nuove generazioni. La scuola è il contenitore dal quale iniziare e dove prevedere percorsi che guardino al racconto del mondo agricolo ai ragazzi, rendendolo sempre più attrattivo.

L’assessore Leo: “Abbiamo delegato agli extra-comunitari e ora ce ne lamentiamo”

È quanto emerso nell’ultimo appuntamento di Agritalk, il webinar promosso da Op Agritalia, organizzazione di produttori di uva da tavola con sede a Barletta, per trattare argomenti di attualità che riguardano il mondo agricolo. Durante il talk, dal titolo Il lavoro in agricoltura, è stata delineata la possibile ricetta per avvicinare le nuove leve al mondo dell’agricoltura. “Quello della mancanza di manodopera è un problema che non nasce oggi”, ha spiegato l’assessore regionale alle politiche per il lavoro, Sebastiano Leo, intervenuto al dibattito. “Siamo stati noi a delegare agli extra-comunitari lavori che non vogliamo più svolgere e ora ce ne lamentiamo. È un problema di retaggio culturale. Dobbiamo far comprendere a tutti che il lavoro nei campi non solo è importante ma anche redditizio, altrimenti i giovani non si avvicinano”.

Copagri: “Mancano gli italiani”

Ne è convinto anche il referente di Copagri per la Puglia, Michele Palermo: “Non ci sono più italiani disposti a svolgere alcuni tipi di mansione, come ad esempio lavorare nei campi o nelle stalle. Un tempo, dopo scuola, i ragazzi andavano a lavorare durante i mesi estivi per pagarsi le vacanze. Adesso non c’è più quella tradizione e siamo stati noi genitori a volerlo”. Alla base del fenomeno non solo un cambiamento culturale ma anche un problema burocratico che vede regole e normative troppo stringenti per il datore di lavoro. “Ben vengano le norme”, ha continuato Palermo, “ma ciò che è sfuggito è la natura della precarietà del rapporto di lavoro. Esiste una legge regionale che obbliga le Asl a istituire nei propri dipartimenti di prevenzione uffici dove fare visite mediche. Oggi non c’è più personale sanitario a disposizione e si risolve tutto a carico del datore di lavoro. Ma se l’operaio cambia azienda tocca al nuovo datore di lavoro il carico dell’iter burocratico e questo limita lo spostamento di operai”.

Da tempo l’agricoltura soffre del pregiudizio secondo cui il lavoro nei campi è più usurante e meno gratificante di altri. Due fattori che, secondo il presidente di Op Agritalia, Michele Laporta, allontanano sempre più i braccianti, soprattutto i giovani. “Nel giro di pochi anni siamo passati dalla mancanza di lavoro alla mancanza di lavoratori. Oggi il lavoro nei campi non è più quello di vent’anni fa, siamo nell’agricoltura 4.0, un modello di lavoro tecnologicamente avanzato che richiede figure sempre più aggiornate ed interessanti e che potrebbe essere allettare i giovani. Probabilmente le aziende sono incapaci a comunicarlo”.

Flai Cgil: “Salari e retribuzioni adeguati”

Non solo un retaggio culturale, dunque, ma anche un problema di formazione. Per Antonio Gagliardi, segretario generale Flai Puglia, c’è un problema di disincentivazione. “Converrebbe lavorare in agricoltura a patto che salari e retribuzioni fossero all’altezza dei contratti collettivi nazionali. Negli ultimi cinque anni in Puglia si è verificato un disimpegno importante di operai agricoli censiti negli elenchi anagrafici Inps pari a trenta mila unità. Sei anni fa c’erano 185mila operai agricoli, adesso 156.800. Di questi, 34.500 sono lavoratori stranieri, in aumento rispetto ai 32mila del 2022. Questa è una delle conseguenze delle regole stringenti, come la legge anti caporalato, volte alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Di questi, quasi un terzo non raggiunge le 51 giornate, requisito minimo per accedere alle prestazioni previdenziali. Il problema va risolto dando dignità al lavoro agricolo. Gli interventi legislativi, come il lavoro subordinato a tempo determinato, che ha sostituito l’utilizzo del voucher, già precario, non rende giustizia”.

Industrializzare l’agricoltura

Per l’assessore Leo è fondamentale che l’agricoltura inizi ad avere un carattere industriale. “Il turismo deve essere destagionalizzato. Se continuiamo a volere lavoratori solo per due o tre mesi l’anno non possiamo aspettarci che la situazione cambi. La Regione Puglia è già al lavoro con Garanzia giovani e Punti cardinali, due procedure importanti mirate all’inserimento lavorativo e che hanno una connessione con l’agricoltura. Dobbiamo far uscire i neet da questa situazione di fragilità. Dobbiamo far comprendere, soprattutto ai giovani, che la passione per il lavoro è fondamentale. Bisogna investire nel capitale umano”.

Un’altra formula che può incoraggiare il lavoro è quella di condividere il lavoratore con più aziende agricole, creando una rete che guardi la filiera nella totalità e consentendo al lavoratore di avere una continuità. “Gli strumenti ci sono”, ha concluso Laporta, “ma le aziende spesso non sono aiutate e, quindi, non sono pronte. La domanda e l’offerta non si incrociano perché non c’è comunicazione tra le parti. Bisogna andare nelle scuole per far conoscere ai ragazzi questo lavoro e poi farli innamorare. I ragazzi dei nostri territorio non conoscono questa realtà e, parallelamente, dobbiamo mettere le aziende nelle condizioni di poterlo comunicare”.

Fonte: Agritalia 

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