La pandemia ha mandato completamente in tilt il traffico mondiale dei container. Il che ha innescato una spirale perversa che, in ultima analisi, ha ricadute pesanti anche sull’import ed export dei prodotti agricoli, frutta e ortaggi compresi. Ma andiamo con ordine e torniamo a un anno fa, quando nel mondo iniziavano i primi lockdown.
Correva l’anno 2020
Gli impatti dell'emergenza sanitaria sulla logistica sono stati evidenti fin dalle primissime fasi: il trasporto e le operazioni di carico e scarico delle merci hanno sofferto ritardi da subito, per via dell’indisponibilità degli operatori, per l’attesa di nuove procedure legate alla sicurezza, per l’incertezza che regnava sovrana. La merce è rimasta bloccata nei magazzini e fuori dai porti, le pianificazioni sono saltate, i blank sailing (partenze cancellate) sono stati all’ordine del giorno. Alcune categorie merceologiche sono rimaste del tutto ferme, food, farmaci e prodotti medicali hanno continuato a viaggiare. Man mano che la crisi sanitaria progrediva, si è iniziato ad assistere all'acuirsi di un fenomeno già noto, quello della carenza dei container: se anche si riusciva a trovare disponibilità di stiva per spedire la merce, mancavano i contenitori. Ma come si spiega?
Dove sono i container?
All’inizio della pandemia molti operatori occidentali hanno importato parecchio dall’Asia, accumulando contenitori. Per contro l’Asia ha diminuito le importazioni, rendendone impossibile il rientro.
Dal canto loro le compagnie di navigazione hanno continuato a evitare i movimenti improduttivi, il loro obiettivo resta quello di viaggiare il più possibile in entrambe le direzioni con container pieni. Inoltre, la logistica dei container si basa sulla previsione, è quindi basata su dati storici di traffico, di stagionalità: il che spiega come il Covid-19 abbia mandato il sistema in tilt.
A oggi, quindi, i container sono bloccati perlopiù tra Nord America ed Europa.
Prezzi alle stelle
Pertanto, essendo altissima la domanda di container, ma scarsissima l’offerta, i prezzi sono inevitabilmente al rialzo. E dunque succede che anche quando il container è disponibile, il costo del nolo è talmente alle stelle – all’incirca 10mila dollari per un 40 piedi che viaggia dall’Asia all’Europa – che molte piccole e medie imprese fanno fatica ad accollarselo: si tratta del 200% in più rispetto alla situazione ex ante pandemia. Si è innescato così un circolo perverso, perché in molti rinunciano alla spedizione. Dal canto loro gli spedizionieri “hanno fame” di container tanto che, soprattutto in America, si sta assistendo a qualcosa di discutibile, perché contro regole che dovrebbero essere ferree: gli shipper rifiutano carichi di merci agricole in export, preferendo a queste container vuoti.
Come e quando se ne uscirà?
Nei mesi scorsi si è sperato che il Capodanno cinese (che si tiene a febbraio e comporta lo stop di tutte le attività in Cina) potesse riequilibrare il traffico dei container, ma la situazione persiste. Secondo il presidente di Cimc (China international marine containers), la principale società cinese che produce container (la Cina detiene l’85% della produzione mondiale di contenitori), la situazione potrebbe durare almeno fino a giugno. Quando, si spera, la diffusione dei vaccini avrà contenuto la pandemia e il flusso dei container potrà tornare ai livelli di sempre.