Un esempio di recupero di varietà autoctone di Liliacee arriva dal centro Italia. Parliamo dell'aglione, Allium ampeloprasum varietà Holmense, una modificazione genetica del porro da sempre coltivato negli orti familiari del territorio della Valdichiana e della Val d’Orcia, ma mai prodotto in quantità significative. Se non fosse per l'attenzione degli ultimi anni, si potrebbe parlare di specie in via di estinzione. Invece no. Da circa una quindicina di anni è stato riabilitato dai produttori locali, tanto che oggi è oggetto di un progetto di espansione: stanno aumentando le superfici, qualche produttore già riesce ad arrivare alla Gdo altri, invece, sperimentano canali più innovativi, come l'e-commerce. L'aglione è anche oggetto di più progetti di ricerca, uno dei quali volto all'agricoltura 4.0. E, un domani, potrebbe arrivare la denominazione di origine. Merito del basso contenuto di aglina – che lo rende più delicato e digeribile rispetto all'aglio, dunque gradito ai consumatori – e merito, soprattutto, della sua redditività, che soddisfa chi lo produce.
Paola del Cipolla: “Produciamo aglione in versione bio”
Il mondo produttivo dell'aglione è variegato: ci sono produttori che coltivano aglione secondo il metodo integrato, altri con metodo convenzionale. Altri ancora sperimentano la coltivazione biologica, come Paola del Cipolla, titolare della azienda agricola Cepina, di Lucignano (Arezzo), la cui produzione è tutta bio, da oramai dieci anni: “Coltiviamo mezzo ettaro di aglione, ma stiamo man mano incrementando le superfici – spiega Paola – Parte della produzione la seminiamo: da 100 chili di prodotto se ne ottengono mediamente 400-450, perché un capo di aglione ha al massimo sei spicchi ma, in media, sono quattro”. L'aglione, rispetto all'aglio tradizionale – che mediamente ha 15-20 spicchi – è dunque più costoso da produrre. Ma, al momento della vendita, regala soddisfazioni ai produttori: “C'è poco prodotto – racconta la produttrice – e quindi il prezzo regge. Inoltre, si tratta di un prodotto locale, interessante, molto ricercato anche da ristoranti e aziende agrituristiche“. Per la vendita l'azienda Cipina ha un progetto: “Stiamo mettendo a punto la vendita e-commerce – conclude – In questo modo il nostro prodotto potrà essere intercettato da chiunque, anche dal singolo privato: l'aglione è molto apprezzato da chi lo prova; per noi è una buona opportunità di business“.
Niccolò Terzaroli: “Studio i geni delle piante e coltivo aglione”
E' giovanissimo – ha 27 anni – sta ultimando il dottorato di ricerca presso la facoltà di Agraria dell'università di Perugia, e dal 2018 è titolare, insieme ad altri due soci, dell'azienda agricola I tre capi di Montepulciano (Siena). L'aglione è stato oggetto della sua tesi di laurea.
“Coltiviamo due ettari ad aglione – esordisce Niccolò Terzaroli – In questo momento è in atto la conversione della nostra produzione, che dal prossimo anno sarà bio“. Quanto alle esigenze produttive dell'aglione, Niccolò spiega che la specie va trattata in modo diverso dal tradizionale aglio: “Fino a qualche tempo fa l'aglione si seminava a dicembre, ma ora abbiamo anticipato: il periodo ottimale è tra la metà di settembre e inizio ottobre. La raccolta, invece, come suggeriscono i nostri anziani, è a San Giovanni (24 giugno): raccogliamo tra la fine di giugno e inizio luglio”. Niccolò conferma la maggiore remunerazione dell'aglione rispetto all'aglio: “Produrlo costa di più, ma le soddisfazioni sono maggiori”. Quanto ai canali vendita, anche l'azienda I tre capi sta sperimentando l'e-commerce, soprattutto per quanto attiene i prodotti trasformati: “Vendiamo anche al dettaglio tramite rivenditori e botteghe – conclude – Grande soddisfazione per i prodotti a base di aglione, quali sughi e cremine“.
Marco Checconi: “Ho portato l'aglione sui banchi della Gdo”
L'azienda agricola Marino Filomena di Torrita di Siena (Siena) è una delle poche ad aver introdotto l'aglione nella Gdo: “Abbiamo un contratto con la Gdo – racconta Marco Checconi – Il prodotto è molto apprezzato, lo scorso anno i supermercati hanno venduto 10 tonnellate in un mese“.
L'aglione, per dirla con le parole di Checconi, piace nonostante il prezzo (tanto per dare un indice di grandezza, l'aglio di Sulmona si vende a 10 euro il chilo, l'aglione a 25) perché “è più leggero e non ha gli effetti collaterali tipici dell'aglio”. Quanto alla produzione, i costi sono elevati perché va fatto tutto a mano, dalla semina alla raccolta: l'azienda Marino ne coltiva sette ettari, con una produzione media di quattro tonnellate per ettaro e pertanto, quando si raccoglie, sono necessari 20 operai in campo per un mese. Alla raccolta segue l'essiccatura, indispensabile per conservare il prodotto: “L'aglione deve essere essiccato all'ombra per evitare che sviluppi funghi – puntualizza – I bulbi non si devono toccare tra loro e quindi è necessarioparecchio spazio“. Quanto agli investimenti per produrlo, Checconi riferisce di aver speso 100mila euro per i sette ettari: “Nonostante i costi – conclude – è un prodotto che dà soddisfazioni, sono poche le colture così redditizie“.
Stefano Biagiotti: “Studiamo l'impronta digitale dell'aglione”
L'aglione è oggetto di interesse anche da parte delle università: da un lato quella di Pisa, che ne ha studiato le caratteristiche nutraceutiche e nutrizionali; dall'altra quella di Perugia, che si è occupata, invece, della caratterizzazione genetica.
E poi vi è il progetto in chiave agricoltura 4.0 intitolato Vero Aglione della Valdichiana, presentato nella primavera 2018 alla regione Toscana e finanziato con la misura 16.2 inerente il trasferimento tecnologico del Piano di sviluppo regionale. Capofila del progetto è la società Qualità e sviluppo rurale di Montepulciano; tra i partner vi sono l'università di Siena (dipartimento di Scienze della vita), l'Anci Toscana, la Cia Toscana, la società Agricoltura è vita e quattro produttori dell'Associazione per la tutela e la valorizzazione dell'aglione della Valdichiana.
Le ricadute del progetto – che dovrebbe concludersi nei prossimi 24 mesi, coronavirus permettendo – vanno quindi nella direzione della tutela del prodotto e dell'attività promozionale. “Abbiamo scelto l'aglione – conclude il professore – perché, pur essendo una coltura di nicchia, sta destando parecchio interesse anche a livello istituzionale. Ma il nostro progetto potrà essere replicato anche su altri prodottiagricoli“.
Se sarà Dop, sarà interregionale
Mentre i produttori incrementano le superfici produttive – al momento, la produzione complessiva si aggira intorno ai 50 ettari – sono in corso i lavori per il riconoscimento della denominazione di origine dell'aglione. Una Dop particolare, perché abbraccerebbe due regioni, Umbria e Toscana: “Siamo ancora agli albori – commenta Terzaroli – Ma se l'iter arriverà importo, la Dop interregionale è qualcosa di particolare, che ci contraddistinguerebbe”. Il disciplinare è stato scritto, alla fine di questa settimana i produttori si incontreranno per confrontarsi: “Siamo in una fase di concertazione tra le due Regioni coinvolte – spiega Checconi – Penso che un accordo si troverà”. Poi si tratterà di avviare l‘iter burocratico che, naturalmente, non avrà esito immediato: si stimano circa due anni di tempo. Se tutto andrà bene, l'aglione sarà Dop: “Un'opportunità sicuramente interessante“, chiosa del Cipolla.