Dopo la chiusura dell’ultima edizione del Sana di Bologna, la manifestazione dedicata al biologico più importante che si svolge annualmente in Italia, abbiamo interpellato Francesco Giardina, coordinatore del Sinab (Sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica) per far un punto del settore, anche alla luce di alcuni dati emersi dal rapporto presentato il 6 settembre (clicca qui) a inizio manifestazione, uno strumento indispensabile per conoscere le coordinate essenziali del mondo del biologico.
Si è chiusa da poco la 26esima edizione del Sana, l'appuntamento fieristico più importante dedicato al biologico nel nostro Paese. Quali sono secondo lei i punti di forza della fiera ed, eventualmente, cosa le piacerebbe venisse migliorato per la prossima edizione?
Anche quest’anno il Sana si è confermato come un’ottima vetrina del biologico italiano con un numero di espositori e visitatori di tutto rilievo. La partecipazione ai diversi momenti fieristici delle imprese, ma anche del mondo delle istituzioni è stata molto significativa ed ha rappresentato con forza il ruolo che il biologico sta assumendo sempre di più nell’agroalimentare e nelle relative politiche di sviluppo. Anche il Sana risente, però, delle dinamiche di sviluppo del settore, con un’impronta sempre più forte del sistema dell’agroindustria ed un ruolo troppo defilato del comparto agricolo. A me piacerebbe un Sana con una maggiore presenza agricola, con un’impronta ancora più forte legata al territorio ed alla produzione agricola biologica italiana. Credo che questa possa essere la sfida anche per i prossimi importanti appuntamenti dell’anno prossimo.
Spesso si dice che il mondo bio sia fortemente legato ai contributi economici erogati in favore di questa tipologia di coltura. Quindi, in presenza o all'aumentare di questi crescono anche i dati relativi agli operatori che si dedicano al biologico. Dai dati che avete fornito relativi al 2013 crescono sia gli operatori (+5,4%) che gli ettari (+12,8%). È sempre presente questo aspetto, oppure sta cambiando qualcosa, anche a fronte dei consumi che sembrano premiare la scelta del bio?
Purtroppo da anni osserviamo come le dinamiche di crescita della domanda di prodotto biologico da parte dei consumatori – che quest’anno hanno raggiunto la cifra record del +17% rispetto all’anno precedente – non incidano in maniera significativa sull’andamento delle superfici o degli operatori che si dedicano al biologico.
Effettivamente la conversione al biologico di operatori e superfici è sempre molto più marcata nelle regioni dove, anno per anno, viene data disponibilità per i contributi delle specifiche misure agroambientali, come accaduto quest’anno per la Sicilia. Al di là di uno zoccolo duro di imprese biologiche oramai stabilmente inserite in un fiorente mercato del bio e che registrano fatturati in continuo aumento, la crescita dei consumi, in particolare per alcune filiere, incide in maniera molto evidente soprattutto sulle importazioni da paesi terzi.
Come sottolinea, i dati forniti da Ismea dicono che a valore i consumi del bio confezionato sono cresciuti del 17.1%. Dati ovviamente relativi alla Gdo. C'è però un altro lato dell'universo bio, rappresentato dai negozi specializzati che nascono ogni anno, soprattutto nelle grandi città, con catene che oramai hanno brand molto affermati. È un universo che si riesce in qualche modo ad analizzare? Anche perché ha dinamiche spesso differenti rispetto a quelle della grande distribuzione.
Effettivamente il dato sui consumi nei negozi specializzati è un indicatore che ancora non si è riusciti sufficientemente a valorizzare. Ma sono ancora molte le informazioni statistiche sul biologico che potrebbero essere messe a sistema. Con il Sinab stiamo cercando sempre di più di condividere con diversi soggetti le analisi che annualmente vengono realizzate: oltre i dati del Mipaaf quest’anno abbiamo lavorato con i dati di Ismea e con l’Università delle Marche ed abbiamo condiviso il lavoro con l’Osservatorio Sana, realizzato da Nomisma. Stiamo cercando di condividere sempre più il lavoro con altri soggetti per ampliare il campo di analisi ad aree ancora non sufficientemente monitorate, per poter offrire una conoscenza quanto più possibile completa e dettagliata dei dati del comparto.
L'ortofrutta sia fresca che trasformata, tra i confezionati bio, domina come quota di mercato a valore nella Gdo con il 30,5%. Un dato molto interessante per questo settore, che invece nel suo complesso vede diminuire i suoi consumi in Italia oramai da anni. Secondo lei rappresenta una reale opportunità per i produttori, con margini importanti per far sì che non sia più solo una nicchia?
La richiesta di ortofrutta biologica è sempre molto elevata e il dato a livello nazionale è, in effetti, in controtendenza rispetto al convenzionale. Crescono non solo i consumi nazionali ma anche le richieste dall’estero sono in continuo aumento. È chiaro però che parliamo di un settore molto complicato, la cui produzione, seguendo il metodo biologico, è complessa ed è alto il rischio di perdite di prodotto, così come notevoli sono le difficoltà per la commercializzazione. Per operatori professionali con strutture organizzate, in grado di affrontare i problemi tecnici relativi, certamente la conversione al biologico può rappresentare una valida alternativa commerciale, in particolare se si riesce ad accorciare la filiera, per non disperdere valore aggiunto.