Arrivano buone notizie dal Consorzio di tutela e miglioramento della filiera della Mandorla di Avola, una vera e propria eccellenza “made in Sicily” sempre più richiesta sui mercati internazionali (a partire dalla Francia, dove i confetti con questa mandorla rappresentano un vero e proprio “must have”) e quindi con grandi prospettive di crescita anche in futuro. A fare il punto della situazione è lo stesso Corrado Bellia (nella foto), direttore di questo Consorzio nato nel 2000, che oggi associa una trentina di produttori e una quarantina di aziende di trasformazione e commercializzazione.
Direttore, qual è la situazione che sta attraversando il comparto della mandorla?
In linea generale è molto positivo. Anche e soprattutto la mandorla, infatti, risente del trend positivo che negli ultimi anni stanno registrando i consumi di frutta secca, tanto che anche qui in Sicilia molti produttori stanno reimpiantando dei mandorleti. Non dimentichiamo, a tal proposito, che negli Anni Cinquanta del Novecento l’Italia era il primo produttore al mondo di questo frutto e in Sicilia vi erano oltre 250.000 ettari allevati a mandorla. Il nostro Paese ha mantenuto tale primato fino agli Anni Sessanta, quando poi è sopraggiunta la California con la sua politica molto aggressiva a livello commerciale, che ha segnato un costante e veloce declino per i nostri mandorleti. Ma non si tratta affatto di un prodotto analogo rispetto al nostro. In ogni caso, nel 2010 (ultimo anno per cui sono disponibili statistiche ufficiali, n.d.r.) gli ettari allevati a mandorla, in Sicilia, erano 21.000. Oggi questa stima è da ritoccare senz’altro verso l’alto, ma siamo ancora lontani dai livelli degli Anni Cinquanta. Tuttavia, è tornato da qualche tempo un grande fervore nell’ambito della mandorla. Del resto, oggi i consumi di questo frutto, nel mondo, sono decuplicati rispetto agli Anni Cinquanta.
Lei ha accennato alle mandorle californiane sottolineando che non si tratta di un prodotto analogo a quello di Avola. E’ una semplice questione varietale o c’è di più?
Le differenze sono enormi, e non parliamo solo di varietà. Innanzitutto, la Mandorla d’Avola è erede di una tradizione che dura da secoli. A portare questa pianta in Sicilia furono infatti gli antichi Greci. Nel corso del tempo, quindi, queste piante hanno saputo adattarsi naturalmente al clima dell’isola, tanto che ancora oggi non sono sottoposte a irrigazione forzata; c’è solo un’irrigazione di soccorso in anni estremamente siccitosi. In California, invece, l’irrigazione forzata è un’assoluta necessità, tanto che per produrre una singola mandorla si utilizzano ben 4 litri d’acqua. Se aggiungiamo che negli ultimi anni questo stato americano ha sofferto gravi problemi di siccità, si comprende anche perché il costo delle mandorle, sempre più richieste dal mercato, è raddoppiato nel corso di un solo biennio. Se infatti un paio di anni fa le mandorle californiane si acquistavano all’ingrosso a 4,70 – 4,80 euro al chilo, oggi si arriva anche a 9 – 9,50 euro al chilo. La siccità, insomma, ha portato a una riduzione di circa il 25% delle mandorle californiane.
C’è poi un problema molto più grande che caratterizza le mandorle della California rispetto alle nostre. Se infatti la loro resa è decisamente maggiore (da 1 chilo di mandorle d’Avola si ottengono solo 200 grammi di seme, mentre dalla stessa quantità di californiane se ne riescono ad ottenere dai 600 agli 800 grammi), il rovescio della medaglia è che il guscio delle californiane è molto tenero, quindi facilmente attaccabile dalle aflatossine, che sappiamo essere sostanze altamente tossiche per il nostro organismo. Il guscio decisamente duro delle mandorle d’Avola, rappresenta invece di fatto uno scudo impenetrabile a questo tipo di problema. A tutto ciò, si aggiunge poi anche una differenza nelle tecniche di raccolta: i californiani scuotono la mandorla e la fanno asciugare insieme al mallo, noi scuotiamo l’albero e le facciamo cadere nella rete o nel telo, le smalliamo e le facciamo asciugare subito dopo. Tutto ciò durante i mesi più caldi, da fine luglio a metà settembre circa. Questo scongiura ancora di più il pericolo di contaminazioni da aflatossine. Ultimo ma non meno importante, un’altra differenza sostanziale tra le nostre mandorle e quelle californiane riguarda anche i trattamenti: proprio per contenere il problema delle aflatossine, le californiane necessitano di trattamenti specifici, al contrario di ciò che avviene per le nostre.
Le aflatossine nella frutta secca continuano quindi a rappresentare un grande problema?
Senz’altro. Basti ricordare che uno dei più recenti allarmi lanciati da Coldiretti, ha proprio inserito nella top ten dei cibi più pericolosi per la salute umana le nocciole della Turchia, le arachidi della Cina e i pistacchi dell’Iran. E non dimentichiamo, a tal proposito, che l’Efsa (European Food Safety Authority) nel 2010, sulla pressione di varie lobby, ha innalzato i livelli di tolleranza per le aflatossine, commettendo secondo me un grave errore. Una delle battaglie che stiamo portando avanti come Consorzio, infatti, è quella di fare pressioni sull’Efsa affinché riveda al ribasso i livelli di aflatossine. Ne va della salute umana.
Cosa si intende, nel particolare, quando si dice “mandorla d’Avola”?
La mandorla d’Avola prevede tre cultivar: Pizzuta, Fascionello e Romana. Quest’ultima prende il nome dalla famiglia Romano di Avola, è di forma più tondeggiante rispetto alle altre due, ha una gemellarità molto elevata ed è molto utilizzata nella pasticceria. La Pizzuta e la Fascionello, dalla forma più allungata e più regolare, sono invece le più ricercate nella confetteria, poiché lo zucchero si distribuisce su di loro in maniera maggiormente uniforme. Non dimentichiamo, del resto, che per fare un confetto abbiamo sempre bisogno di una mandorla dalla forma perfetta.
Attualmente quanti sono gli ettari di terreno allevati a mandorla d’Avola? E ci sono altre zone in Sicilia che si stanno convertendo a questa coltura?
Oggi, nel siracusano sono presenti circa 3.900 ettari allevati a mandorla d’Avola, cui si aggiungono i circa 700 ettari del ragusano. Si tratta di un “unicum” eccezionale e non riproducibile di fatto altrove, poiché è un territorio che, oltre a vantare il più alto livello di insolazione di tutta Italia, è protetto da una parte dal mare e dall’altra parte dai monti Iblei, per un microclima che consente una buona allegagione delle piante anche nei mesi più freddi dell’anno. Non dimentichiamo, infatti, che la mandorla d’Avola è molto precoce rispetto ad altre varietà, e richiede quindi una temperatura mite già a dicembre.
Per quanto riguarda altri territori che stanno seguendo il nostro trend, noi stessi come Consorzio abbiamo stimolato la nascita, tra le province di Caltanissetta, Enna e Agrigento dell’associazione di produttori mandorlicoli “Mandorle di Sicilia”, per tutelare sia le cultivar siciliane tradizionali, sia lo sviluppo di una varietà molto interessante, chiamata Tuono.
Come è andata la produzione 2016?
Piuttosto bene. Rispetto all’anno precedente, l’aumento dei quantitativi è stato di circa il 30%. In linea generale, possiamo tenere presente che ogni mandorleto, in Sicilia, produce in media 2 tonnellate a ettaro in guscio. Ciò significa, approssimativamente, che per la mandorla d’Avola, 4.700 ettari danno 9.400 tonnellate di mandorle in guscio e 2.600 tonnellate sgusciate.
Quali sono i mercati di riferimento per la Mandorla d’Avola?
Il 30% della produzione totale della Avola va al comparto della confetteria, e il 60% circa di questa quota è destinata alla sola Francia, dal momento che in questo paese è molto radicata la tradizione del matrimonio associato ai confetti. Poi, altri mercati per la confetteria sono la Campania e la Lombardia. Il restante 70% della produzione è poi destinato alla pasticceria e al naturale – nutrizionale.
Per la Mandorla d’Avola manca ancora un riconoscimento a livello europeo, come ad esempio una certificazione Igp. Ci avete mai pensato?
In passato avevamo riflettuto se intraprendere il percorso per un riconoscimento Igp, ma poi abbiamo concluso che tutto ciò può essere controproducente. Abbiamo invece adottato, fin dal 2006, un marchio collettivo, che garantisce origine e tracciabilità del prodotto. In questo modo, abbiamo ridotto notevolmente anche costi e burocrazia, che inevitabilmente avrebbe prodotto una certificazione Igp.
In conclusione, c’è dunque futuro per la Mandorla d’Avola?
Il momento storico è molto favorevole e le prospettive di sviluppo sono molto buone. Del resto, stiamo vivendo da un lato un grande momento di interesse per la frutta secca, dall’altro un contestuale sviluppo dei settori della pasticceria e della gelateria. Poi, dal punto di vista agronomico, coltivare mandorle garantisce molti meno problemi di gestione rispetto ad esempio a un agrumeto (che richiede irrigazione e trattamenti) e, altro aspetto molto importante, la mandorla è un frutto che si può conservare facilmente, anche a lungo.