Negli ultimi otto anni, sono cresciute di quasi il 20% le superfici coltivate a nocciola in Italia. Ad affermarlo sono dati Istat, poi ripresi da Coldiretti, che spiega: “Tra il 2010 e il 2018 la superficie coltivata a nocciole in Italia è passata da 70.464 ettari a 84.306 ettari, con una crescita del 19,6%. La produzione è cresciuta da 936.444 quintali a 1.326.990 q (+41%). Allo stesso tempo si registra, negli ultimi mesi, una forte attività di stimolo da parte di diverse industrie alla realizzazione di nuovi impianti di superfici consistenti, anche in zone di pianura, anche in regioni precedentemente non interessate dalla corilicoltura”.
Del resto, non è un segreto che la nocciola è una di quelle colture che sta interessando sempre più il mondo della produzione, per la forte domanda che ormai da diversi anni c’è a livello mondiale, in particolare da parte di grandi industrie di trasformazione.
“Nel 2018 – spiega sempre Coldiretti – le importazioni di nocciole sgusciate (da Turchia, Cile, Azerbaigian, Georgia) sono cresciute di quasi il 15%, passando dai 43,0 milioni di chilogrammi del 2017 a 49,3 milioni di chilogrammi”.
L’associazione agricola rileva contestualmente anche i rischi che si possono correre con le nocciole d’importazione. “Analizzando i dati del sistema di allarme rapido Ue (Rasff) – prosegue Coldiretti – emerge come rimanga preoccupante la frequenza con cui vengono intercettate partite di prodotto di importazione contaminate da aflatossine (26 partite nel 2018 nell’Ue, di cui 7 riscontrate dall’Italia). Questa situazione, con l’aumento delle importazioni, nonostante la crescita della produzione italiana, in assenza di un obbligo di tracciabilità delle nocciole utilizzate nei derivati (tranne poche, meritorie industrie che volontariamente dichiarano l’origine delle nocciole lavorate), rischia di dare un’immagine ingannevole dei derivati, con le nocciole nazionali che frequentemente vengono tagliate, miscelate o sostituite con quelle di importazione”.