20 aprile 2023

Packaging, l’Efsa abbassa i limiti per il bisfenolo

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Sono oltre 800 gli studi scientifici pubblicati dopo il 2013 che mettono al bando il bisfenolo A, la sostanza impiegata nelle plastiche in bicarbonato e nelle resine epossidiche usate per i contenitori di alimenti.

E sui risultati di queste ricerche si basano i nuovi livelli di accettabilità stabiliti dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) con sede a Parma.

Che cosa dicono gli studi

Secondo gli studi in questione, il bisfenolo A (Bpa) comporta un rischio per la salute perché può migrare dai contenitori agli alimenti compromettendo il sistema immunitario. Per tale motivo, l'Efsa ha drasticamente abbassato i livelli di esposizione alimentare al bisfenolo A (Bpa): le nuove soglie sono 20mila volte inferiori a quelle precedenti.

Che cos'è il Bpa

Il Bpa è una sostanza prodotta da oltre 60 anni per realizzare contenitori per alimenti, in particolare plastiche in policarbonato. Ma viene anche usato nelle resine epossidiche di cui è fatto il rivestimento interno della maggior parte delle lattine. I primi dubbi sui suoi possibili effetti nocivi per la salute risalgono a circa 30 anni fa: già allora si ipotizzava che potesse avvenire il passaggio dai contenitori agli alimenti.

Il Bpa è sotto esame da diverso tempo: nel 2017 era stato classificato come sostanza candidata alla sostituzione, mentre l’anno successivo Bruxelles l’aveva vietata nella produzione di biberon e di altri oggetti per bambini minori di tre anni. Nel 2019 la Corte di giustizia europea l’aveva inserito nella lista delle sostanze estremamente preoccupanti.

I rischi

Nell’ultima valutazione dell’Efsa, la base su cui è giustificato l’abbassamento del limite di esposizione, l’Autorità ha esaminato la nuova letteratura scientifica disponibile:

“Negli studi – ha dichiarato l'Efta – abbiamo osservato un aumento della percentuale di un tipo di globuli bianchi, i linfociti T helper, nella milza. Essi svolgono un ruolo chiave nei nostri meccanismi immunitari cellulari e un aumento di questo tipo potrebbe portare allo sviluppo di infiammazioni polmonari allergiche e di disturbi autoimmuni”.

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