Dalle guerre che chiudono mercati di sbocco, alle pandemie che ribaltano le abitudini di consumo, dalla pressione sui prezzi che schiaccia la produzione alla Ue che si immagina regolamenti lineari che hanno impatti diversi nei singoli paesi, dalle sigle di rappresentanza in competizione tra loro piuttosto che a difesa strategica degli agricoltori, a rapporti di filiera sempre più tesi e conflittuali.
Tutto produce uno schiacciamento progressivo dei margini alla produzione che sembra senza soluzione di continuità, da cui le proteste e i trattori nelle strade. Così Claudio Dall’Agata, direttore generale di Bestack, sintetizza la situazione attuale dalle pagine dell’ultimo notiziario del Consorzio.
Il dovere di aggregarsi
La ricetta diffusa per uscirne è l’aggregazione, ricorda il direttore di Bestack. Lo dicono da sempre i vertici della Gdo che necessitano di fornitori strutturati in grado di garantire qualità standard e continuità di fornitura. Lo si sostiene nei convegni, da sempre. Ma poco è cambiato.
Forse quindi contarci troppo – anche se passi in questa direzione ne sono stati fatti – non conviene. Lo invoca Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, che sulle colonne del Corriere Fiorentino di pochi giorni fa sostiene come “gli agricoltori dovrebbero mettersi insieme. Così si adegua l’offerta alla domanda. L’aggregazione dell’offerta di prodotto dovrebbe avvenire attraverso il modello cooperativo: mettere insieme tanti piccoli per dare loro un più forte potere contrattuale”.
Dall’Agata, poi, osserva come, così impostato, sembri tutto focalizzato solo sull’aggregazione dell’offerta, la quale – pur auspicata e in progressiva crescita – difficilmente riuscirà da sola a raggiungere l’obiettivo di poter incidere sul mercato e a spuntare un riequilibrio dei prezzi. Ci riescono solo a volte i monopolisti normativi o i grandi brand che parlano direttamente al consumatore, oggi molto più libero e indipendente.
Aggregati sì, ma anche “percepiti” (per valore)
Difficile immaginare ci riesca l’ortofrutta italiana a breve. “Quindi – osserva Dall’Agata – forse per questo l’aggregazione, che serve, da sola non basta. Per far crescere il peso dell’offerta occorre renderne percepiti valore e capacità di mantenimento della promessa direttamente a chi sceglie, oggi in maniera sempre più autonoma. Il successo di un prodotto lo certifica il consumatore al di là di tutte le attività push e pull, così come il prezzo agli agricoltori non si ottiene per decreto. Al consumatore occorre parlare sempre di più con la consapevolezza che il trade è un intermediario con cui collaborare piuttosto che confliggere, trovando e costruendo le occasioni migliori”.
Per Dall’Agata il vero tema non è solo aggregarsi, ma trovare formule di collaborazione per rivolgersi al consumatore e ingaggiarlo con più efficacia. La mancanza di una aggregazione sufficiente non può essere il discrimine.
“Al contrario, attorno a progetti funzionali ed efficaci che hanno l’obiettivo di migliorare il percepito dell’ortofrutta l’aggregazione può essere la naturale conseguenza – scrive – Per farlo servono idee che valorizzino e comunichino l’identità della produzione e del prodotto, perché è la coerenza con quest’ultima che motiva la scelta. D’altronde scegliamo l’ortofrutta per convenienza, ma anche per fedeltà, abitudine e gusto. E l’identità può andare a braccetto sia con l’aggregazione – crescono i progetti trasversali di prodotto condivisi da diverse aziende – sia con progetti di filiera (si pensi alla profondità crescente dei corner dedicati al vino con etichette di livello in Gdo, ndr). Se così è, mai rinunciare alla propria identità, a comunicare chi si è, a farsi riconoscere, a raccontare il proprio brand e la propria storia”.
Per tutto questo ci sono le confezioni.
In collaborazione con Bestack