07 maggio 2020

Prezzi ortofrutta, l’impatto (blando) del coronavirus

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Il coronavirus ha sortito effetti sui prezzi dell'ortofrutta? Secondo una stima di Coldiretti sì: rincari del 5% per gli ortaggi e dell'8,4% per la frutta. Il coronavirus, però, non avrebbe colpito solo il reparto ortofrutta, ma un po' tutti i generali alimentari: secondo la confederazione, sono saliti i prezzi anche di latte (+4,1%), salumi (+3,4%), pasta (+3,7%), piatti pronti (+2,5%), burro (+2,5%), formaggi (+2,4%), zucchero (+2,4%), alcolici (+2,1%), carni (+2%), pesce surgelato (+4,2%) acqua (+2,6%).
A confermare 
l'aumento dei prezzi anche il termometro ufficiale dell'Istat secondo il quale i prezzi dei beni alimentari sarebbero cresciuti nel mese di aprile del 2,8%. In tutto questo, dice sempre l'Istat, l'inflazione è rimasta ferma al palo. Tornando all'ortofrutta, secondo quanto riportato da Repubblica ieri (6 maggio), l'impatto del coronavirus sarebbe molto alto: per le arance, addirittura, il rincaro sarebbe del 24%.

La domanda sorge spontanea: effetto del lockdown, oppure normali dinamiche di mercato? Entrambe le cose: il lockdown ha avuto sicuramente effetti sulla contrazione degli acquisti dei prodotti di IV e V gamma e, certo, ha avuto un effetto negativo sul prodotto sfuso. Per il resto, no agli allarmismi. I prezzi, salvo qualche eccezione, stanno seguendo le normali dinamiche di mercato.

La caccia alla vitamina e lo stop dell'Horeca

“Con l’emergenza coronavirus – precisa Coldiretti – gli italiani sono a caccia di vitamine per rafforzare il sistema immunitario. L'Iss (Istituto superiore della sanità) invita proprio ad aumentare la quota di alimenti vegetali nella dieta, introducendo un maggiore apporto di frutta, verdura e legumi in ogni pasto della giornata”. Ma la ricerca della vitamina, sempre secondo la confederazione, non sarebbe l'unico elemento a determinare il caro prezzi dei beni alimentari in generale, e dei prodotti ortofrutta in particolare: “Il lungo periodo di chiusura – sottolinea la Coldiretti – sta pesando su molte imprese dell’agroalimentare made in Italy, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura, ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco e sui quali gravano anche le difficoltà all’esportazione con molti paesi stranieri che hanno adottato le stesse misure di blocco alla ristorazione. La spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani per un valore di 85 miliardi di euro l’anno”.

Il parere della Gdo

La filiera al 90% ha reagito in maniera responsabile – dice Claudio Mazzini, responsabile commerciale settore freschissimi di Coop Italia – Alcuni prezzi sono aumentati, ma perché sono cresciuti i costi da sostenere, sia per il punto di vendita sia anche per il fornitore, così come per i trasporti. Non dimentichiamo che in questi 50 giorni di lockdown è aumentata in modo significativo la vendita di prodotti confezionati, anche questo si traduce in un incremento di costi per le aziende. In più, per alcuni prodotti, c'è stata una minore disponibilità (vedi arance) che ha giustificato un aumento del prezzo. Ma niente più di questo”.

“Gli unici rincari significativi – racconta Stefano Broggi, buyer ortofrutta di Bennet – sono stati su peperoni e arance, poiché il prodotto nazionale è terminato e pertanto il settore si è rivolto al prodotto estero (Spagna). Per il resto non abbiamo assistito a fenomeni rilevanti”.

Dello stesso avviso Pietro Fiore, responsabile del reparto ortofrutta di Todis: “Abbiamo messo a punto la linea “prezzi bloccati” per i freschi, prodotti del banco ortofrutta compresi, fino al 30 giugno. In base all'area geografica, sono quindi bloccati i prezzi di insalate, banane, pomodori, finocchi e così di seguito. Salvo rare eccezioni, i prezzi alla produzione sono in linea con quelli dell'anno scorso e rispecchiano le dinamiche di mercato. Abbiamo osservato un aumento delle vendite del prodotto confezionato, che potremmo stimare tra il 25-30%, e una diminuzione delle vendite del prodotto di IV e V gamma. Ma per questi ultimi, con l'inizio della fase 2, abbiamo già notato un nuovo incremento”.

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