18 dicembre 2012

Rumore, gusto e sapore. Il perché della frutta secca in cucina secondo Davide Palluda

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È uno dei grandi chef del firmamento dell’alta cucina italiana e per assaporare quel magico mix di tradizione ed estro che dispensano i suoi piatti dovete andare nel Roero, a Canale, in provincia di Cuneo. Qui conduce da anni il ristorante presente all’interno dell’Enoteca Regionale: una sala elegante e sobria, dove gusto e piacevolezza sono le parole d’ordine.

Perché chiedere proprio a Davide Palluda (http://www.davidepalluda.it) qualcosa sulla frutta secca? Per vari motivi. Il primo è che la usa sovente nelle sue preparazioni, il secondo è che, per sua stessa ammissione, l’aver cominciato a pensare alla frutta secca non solo nelle preparazioni dolci, ma anche in quelle salate è merito di una nota azienda del settore, la Noberasco, per la quale ha firmato e pensato una serie di prodotti ad hoc: «Sì, devo ammettere che quella collaborazione mi ha aperto un mondo che prima non conoscevo così a fondo. Il Roero è anche terra dalle grandi tradizioni nel mondo della frutta fresca, pensiamo a pesche e albicocche, ma con quella secca non avevo mai studiato a fondo prima del lavoro per Noberasco».

Perché usarla in cucina? «Apporta molte cose ai piatti: prima di tutto gusto, condimento e sapore, ma senza appesantire, un po’ come le erbe aromatiche. I grassi della frutta secca, oleosi, arrotondano il sapore, ma sono più nobili rispetto a quelli animali. E poi il rumore che contribuisce al gioco, ingrediente anch’esso importante nell’elaborazione di alcuni piatti». Non solo frutta da guscio però, ma anche disidratata: «Sì, per esempio una preparazione che mi piace molto è la torta salata di porcini secchi e albicocche disidratate». E con i datteri? «Datteri e zenzero, oppure datteri e rafano, con il formaggio».

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