Biologico

09 settembre 2024

In Sicilia nuove opportunità per l'avocado bio

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È in fase di conclusione il progetto dedicato all’avocado biologico siciliano sviluppato negli ultimi tre anni dal Dipartimento di Agricoltura, ambiente e alimentazione (Di3A) dell’Università di Catania in collaborazione con sei aziende locali, con capofila l’azienda agricola Ionica di Andrea Passanisi. 

Reso possibile dai fondi regionali del Psr – Misura 16.2, il progetto “Avocado biologico siciliano: superfood per la valorizzazione delle aree ionico-tirreniche” ha permesso di individuare un areale adatto, di verificarne le potenzialità produttive e testare tutte quelle tecniche colturali che permettano non solo di produrlo, ma di presentarlo sul mercato come un prodotto sano, biologico e disponibile per buona parte dell’anno

“Lo studio parte dalla constatazione che l’avocado, inserito ormai nel paniere Istat, è un prodotto molto richiesto sul mercato, con un consumo crescente. Grazie alle sue proprietà nutrizionali, è considerato un superfood”, spiega Giancarlo Polizzi, responsabile scientifico del progetto insieme ad Alberto Continella, entrambi dell'Università di Catania.

Allo stato attuale, la maggior parte dell’avocado in commercio viene però importato da altri Paesi. Nonostante il forte interesse, le superfici coltivate in Italia, e soprattutto in Sicilia, sono modeste. 

In molti stanno avviando la coltivazione, ma la produzione esistente soddisfa non più del 5-7 % del consumo nazionale. “L’idea è quella di valorizzare alcune aree della Sicilia dove la coltivazione esiste già da tempo”, continua Polizzi.  

L'avocado in Sicilia

L’avocado in Sicilia infatti non è una novità. La coltura è stata introdotta già da alcuni decenni. All’inizio era considerata una pianta ornamentale. Solo dopo si è diffusa anche per uso alimentare. 

“Fino a pochi anni fa, la produzione era limitata. C’erano pochi ettari, con scarsa produzione e un mercato non ancora maturo. Ora che il consumo di avocado è esploso e il prezzo di vendita è interessante, gli agricoltori vedono in questa coltura delle nuove opportunità. Ma era necessario capire come procedere per definire una proposta di mercato adeguata e confacente alle richieste”, aggiunge Polizzi. 

La Sicilia offre le condizioni adatte per una buona produzione, ma, come dimostrato anche dal progetto di ricerca, è soprattutto l’areale tra Acireale e Fiumefreddo quello che può garantire una risposta ottimale. 

L’avocado infatti è una pianta che ha bisogno di una quantità importante di acqua e che sia acqua di qualità, di un terreno non pesante e non calcareo. “L’area ionica da noi individuata che si estende anche in collina, fino a 300 metri slm, offre notevoli potenzialità”, osserva il professore dell'università di Catania. 

Nei quasi tre anni di lavoro, i responsabili del progetto hanno verificato tecniche di produzione specifiche e biologiche per ottenere un prodotto di elevata qualità e un’ottima resa. “Il nostro avocado cresce molto bene anche senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, aspetto che rappresenta un grande vantaggio”.

Testati una serie di microrganismi e pratiche colturali che consentono di aumentare la resa e limitare i danni causati dalle malattie. “Siamo soddisfatti dei risultati ottenuti. Quest’areale ha un potenziale di circa 5.00-7.000 ettari che potrebbero essere dedicati con successo all’avocado”.

Avocado anzichè limoni

L’aspetto interessante è che si tratta di un’area storicamente dedita alla produzione del limone, pianta che invece oggi, dal punto di vista economico, non dà più i risultati di un tempo. “Mentre il prezzo del limone si attesta sui 0,30 o 0,40 euro/kg, l’anno scorso quello dell’avocado è arrivato a 3,50/kg”, ricorda Polizzi.

I produttori di limoni, penalizzati anche dalla elevata diffusione del malsecco, si stanno orientando pertanto su colture più remunerative.  

Il progetto, poi, ha individuato diverse varietà di avocado, anche nuove per la Sicilia, che permettono di ampliare il calendario di commercializzazione da ottobre fino a fine aprile

Oltre al fresco, anche i trasformati sono stati oggetti d’indagine, compreso un olio nato dal prodotto di scarto. “Abbiamo lavorato sull’aumento della resa e sul contenimento della perdita produzione, valutando le caratteristiche salutistiche del frutto e i vantaggi della produzione: ottime basi per continuare ad approfondire l’argomento anche in futuro”, conclude Giancarlo Polizzi.


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