16 febbraio 2024

Cosa mettiamo in tavola? Il climate change

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Il climate change sembra proprio essere diventato l’ingrediente principale delle cucine di tutto il mondo. Il cambiamento, anzi l’adattamento delle specie animali e vegetali sta trasformando la proposta degli chef tanto che Michelle Bernstein, ristoratrice americana e vincitrice nel 2008 del “James Beard Foundation Award”, dal summit BFD di Axios, a Miami, ha detto: “Possiamo diventare creativi con della lattuga”.

Di cambiamento climatico, e conseguente aumento di costi per la materia prima (dalla produzione al trasporto) ha scritto su ilgusto.it Lorenzo Cresci, sottolineando quella che sta diventando un’autentica rivoluzione nel mondo della ristorazione. Una rivoluzione destinata a cambiare la testa e le abitudini sia di chi cucina, sia di chi va al ristorante.

In occasione del summit di Axios, la chef  Bernstein ha sottolineato come oggi la chiave sia quella di affrontare le richieste dei clienti in funzione delle sfide globali. “Non faccio più arrivare più molti pesci e frutti di mare in altre parti del Paese – ha detto Bernestein – perché semplicemente sono troppo costosi. Non ricordo l’ultima volta che ho portato ingredienti come ricci di mare vivi o ali di razza, ma lo stesso vale anche per il foie gras. Tutti piatti da sempre presenti nei miei menu di Miami, perché la gente se li aspettava. Oggi però so che non è necessario averli in carta. Dal nostro punto di vista possiamo diventare creativi con una testa di iceberg, se necessario”. Da qui, come conseguenza del mix clima-inflazione, la necessità di “creare con ciò che abbiamo”.

Questo è il caso di Miami, ma chef di tutto il mondo si trovano ad affrontare sfide simili: da Hong Kong al Canada, dove per esempio compaiono sempre più frequentemente nelle cucine piatti a base di calamari e sardine, poiché il riscaldamento degli oceani spinge esemplari come il salmone verso le acque più fredde dei poli.

A questo si aggiunga il rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e del costo del lavoro che negli ultimi anni (da gennaio 2020, esattamente) ha portato i ristoranti ad aumentare i prezzi del 24%. Un aumento in carta che non corrisponde però a un maggior utile per chi fa ristorazione.

Un quadro dalle tinte fosche: perché, se il clima influenza l’agricoltura (in crisi la produzione di grano, pomodoro e jalapeño rosso), e si ripercuote sulle spese di trasporto, è quello che arriva al consumatore finale che va reinventato. Magari partendo da un po’ di lattuga.

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