Sulle arance marce servite nei giorni scorsi agli studenti di una scuola calabrese sono già stati scritti fiumi di parole. Ma non si tratta di una novità: l'ortofrutta nelle mense scolastiche, un progetto tutto europeo che dovrebbe incentivare il consumo di alimenti sani fin dalla tenera età, è oggetto di discussioni giornaliere. Lo sanno bene insegnanti, studenti e genitori: se gli agrumi con tanto di muffa fanno scalpore, a non fare più notizia sono i frutti esteticamente perfetti, ma immangiabili perché duri e insapore. Ma qual è la falla del sistema? Perché si pone il problema della qualità dei menu serviti tra le mura scolastiche?
Il sistema è controllato
Nel corso dell’anno scolastico i pasti serviti a scuola sono controllati da più fronti: controllano i Comuni, le asl (azienda sanitaria locale), in alcuni casi anche specifici laboratori di analisi incaricati dall’amministrazione per i controlli igienico-sanitari. Inoltre, in numerosi comuni esistono le cosiddette commissioni mensa, una task force composta da docenti e genitori il cui compito è proprio quello di vigilare, in maniera diretta, sui pranzi serviti. I membri della commissione mensa, oltretutto, sono autorizzati a visitare senza preavviso le mense scolastiche e i centri di cottura: durante queste visite possono verificare le qualità organolettiche dei cibi, tra cui frutta e verdura, il gradimento dei pasti serviti e la qualità del servizio. Dunque i controlli ci sono. Ma chi sceglie che cosa servire?
Il menu non è casuale
Il menu scolastico deve rispondere a precisi requisiti: varietà, stagionalità, aspetti nutrizionali, nulla viene lasciato al caso. Sono inoltre definite le grammature per ciascun alimento, sono privilegiate le produzioni locali, stagionali e biologiche. A elaborare la tabella settimanale è un dietologo o un nutrizionista incaricato dalle amministrazioni comunali (per le scuole pubbliche) o dalla direzione scolastica (per quelle private). Ma chi acquista la frutta e verdura da servire? A farlo sono le aziende di ristorazione, che naturalmente devono lavorare nel rispetto di una precisa normativa.
La tracciabilità e l'informazione non mancano
Il sito di Milano Ristorazione, per esempio, è all'insegna della trasparenza: con periodico aggiornamento vengono riportate le informazioni sulle materie prime (non è l'unica azienda di ristorazione a farlo); per la frutta, poi, apposite tabelle indicano il luogo di produzione, le cultivar servite e sottolineano che, la periodicità di distribuzione e la disponibilità delle varietà frutticole, potrebbero subire variazioni in funzione dell’andamento del mercato ortofrutticolo e delle condizioni climatiche. Inoltre, una scheda tecnica descrive in maniera puntuale una serie di aspetti. A titolo esplicativo, in quella della mela si legge: “I frutti di prima categoria, come definito da Reg. Ce 543/2011 e successive modifiche, devono provenire dallo stesso luogo di produzione. Devono essere interi, sani, puliti, esenti da parassiti, da lesioni e/o ammaccature, sufficientemente sviluppati, privi di alterazioni dovute ai parassiti. La polpa deve essere indenne da qualsiasi deterioramento. Il peso medio del frutto viene calcolato dal peso netto della fornitura diviso per il numero dei frutti forniti. Varietà: Golden Delicius, Stark Delicius, Royal Gala, Red Delicius, Fuji, Morgan”.
L'annoso problema del gusto
Di fronte a una filiera tracciata e con un preciso quadro normativo a cui fare riferimento, sono due le ipotesi che prendono piede quando si verificano casi isolati di ortofrutta non conforme: si può trattare di un incidente, oppure di un illecito. Mentre per la frutta di bella presenza, ma dal gusto non pervenuto, i ragionamenti sono altri. E sono quelli su cui dibatte la filiera ortofrutticola da parecchio tempo.